Come emerso dal Rapporto Italia 2021 di Eurispes, sono in aumento gli italiani che scelgono un’alimentazione veg: oltre l’8% della popolazione, per un +9% rispetto al 2020.

Del variegato mondo veg, il 5,8% si dichiara vegetariano e il 2,4% vegano – una crescita del 200% rispetto ai dati del 2018.

Un altro trend che salta agli occhi è la fascia dei più giovani: oltre il 10% della popolazione tra i 18 e i 24 anni abbraccia uno stile di vita green (alimentazione compresa).

Le ragioni ricorrenti sono quelle che seguono: chi vuole prendersi cura del mondo con atteggiamenti virtuosi, chi si dichiara salutista, chi è determinato dalla tutela dell’ambiente, chi manifesta il desiderio di sperimentare nuove esperienze alimentari, chi preferisce mangiare meno ma meglio, e chi sceglie l’alimentazione veg perché fa bene alla salute.

Di tutte le ragioni sopra elencate è importante non dare per scontata l’ultima: se è vero che un’alimentazione priva di carne e di derivati animali può favorire alcune problematiche di salute, resta pur vero che questi tipi di diete richiedono di integrare alcuni dei nutrienti che si vanno a perdere.

Per questo, di buona norma, chi entra nel mondo veg lo fa munendosi della voglia di scoprire e imparare come poter bilanciare la scelta fatta mantenendo uno stato di salute ottimale.

Parlando di salute ossea, la letteratura ha evidenziato come i vegetariani abbiano una minor densità minerale ossea rispetto ai non vegetariani, ma mancano ad oggi evidenze che mettano il relazione le diete veg con il rischio di fratture.

È in questa direzione che si colloca il presente studio prospettico, che ha analizzato dati relativi a un campione di popolazione piuttosto considerevole.

EPIC-Oxford (questo il nome dello studio) ha raccolto informazioni alimentari su circa 65.000 persone tra il 1993 e il 2001, con un follow-up nel 2010.

I partecipanti sono stati suddivisi in 4 gruppi alimentari: chi mangiava carne, chi solo pesce, i vegetariani e i vegani, e a ogni gruppo veniva affiancato il numero totale delle fratture procurate nell’arco degli anni.

Consultando i registri ospedalieri o i certificati di morte fino alla fine del 2016, l’équipe ha potuto raccogliere tutti i dati necessari.

Grazie alla recessione di Cox è stato possibile stimare il rischio di fratture totali e da compressione (a braccia, anca, bacino, gamba, caviglia e altri punti come clavicola, costola o vertebra) in base al gruppo alimentare di appartenenza, per un periodo di osservazione di circa 17 anni.

Comparando i dati anche in base a fattori socio economici, fattori confondenti (casuali) e BMI, è emerso quanto segue:

  • In comparazione con il gruppo che mangiava carne, il rischio di frattura del bacino è risultato maggiore, in ordine numerico, in chi mangiava solo pesce, in vegetariani e in vegani.
  • Anche i vegani hanno mostrato un maggiore rischio di fratture totali e della gamba, se comparati a chi mangiava carne.

Si tratta del primo studio prospettico che si è concentrato su gruppi alimentari associati alle fratture includendo vegani e vegetariani in un così grande gruppo di popolazione.

Secondo gli Autori, alla luce di quanto emerso è necessario sviluppare ricerche cliniche approfondite per capire quali siano i percorsi biologici che portano a tali risultati.

 

Bibliografia
Tammy YN Tong et al. Vegetarian and vegan diets and risks of total and site-specific fractures: results from the prospective EPIC-Oxford study. BMC Med. 2020 Nov 23;18(1):353.